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Antigone ed Elettra di Sofocle: viaggio tra memoria e oblio della violenza II


Questioni del passato
 

Antigone ed Elettra: linee interpretative che non s'incontrano 

Antigone,
Frederic Leighton
In quello che si presenta come un autentico compendio di studi sull'Antigone, D. A. Hester tenta di orientarsi nel panorama di una letteratura vastissima; accanto alla visione "hegeliana" che legge nel dramma il confronto tra "verità parziali collocate ai poli opposti di varie antitesi", egli documenta il predominio pressoché assoluto di una diversa prospettiva che vede la tragedia come "scontro tra un principio buono (Antigone) e uno cattivo (Creonte)" (1). È secondo queste direttrici che si sono moltiplicati nel tempo i contributi dedicati al capolavoro sofocleo.

Da un lato, l'elaborazione filosofica di Hegel che inaugura lo studio dell'Antigone come espressione dell'inevitabile (e inconciliabile) conflitto tra principi rivali ugualmente legittimi; e a raccoglierne l'eredità una lunghissima tradizione che seguita a riconoscere nella dualità una categoria essenziale strutturante l'intero dramma (e che, come lo stesso Hester non manca di mettere in evidenza, spesso è riconducibile al filosofo più per l'impostazione dialettica delle sue osservazioni che per una reale affinità col modello cui si richiama).
In Hegel, dunque, l'opposizione tra Stato e famiglia, tra norma e costume, tra diritti dei vivi e diritti dei morti; dopo di lui, anche l'uomo contro la donna, la legge civica contro le necessità del sangue, l'astrattezza propriamente maschile della dimensione politica contro la concretezza femminile della dimensione privata (2).

Dall'altro, una diversa modalità di approccio al testo di Sofocle, che trae ispirazione da opere quali l'Antigone di J. Anouilh (del 1942) o lo scritto di V. Ehrenberg (3), e che sviluppa una concezione del tutto unilaterale del rapporto tra Antigone e Creonte.
Elemento fondante di tutte queste indagini è il riferimento di Antigone alle "leggi non scritte, stabili degli dei" (vv. 450-457); ora assimilate alle norme della tradizione sovvertite da un'autocratica volontà di potenza, ora innalzate al rango degli immutabili imperativi morali calpestati dall'arroganza di un potere che si pensa assoluto (4), tali leggi vengono costantemente invocate da quanti scorgono nel destino dell'eroina la morte insensata delle vittime di ogni regime e il sacrificio totale che riafferma i diritti dei singoli, la sopraffazione degli individui ad opera dello Stato e la strenua lotta in difesa della libertà (5).

Comune ad entrambe queste prospettive, la tendenza a destorificare la tragedia che dalle costruzioni filosofiche di fine Settecento alle più moderne rivisitazioni continua ad essere riproposta in ragione della sostanziale paradigmaticità dei significati di cui è investita.

Elettra,
Frederic Leighton
Il quadro interpretativo appare senz'altro più complesso per quanto concerne l'Elettra le cui letture correnti rivelano una notevole divergenza di opinioni, specie nella valutazione del matricidio. J. H. Kells (6) attribuisce tali discrepanze alla voluta ambiguità della costruzione sofoclea e ad una serie di elementi strutturali che, nell'inevitabile confronto con i precedenti adattamenti dell'episodio mitico, sono portati a sostegno di posizioni totalmente opposte; in una sintetica presentazione dei principali orientamenti, egli indica chi ascrive a Sofocle tanto la difesa del matricidio (teoria "giustificatoria") quanto la sua condanna (teoria "ironica") (7).

A sostegno della cosiddetta teoria "giustificatoria", parte considerevole della critica vede rinnovarsi anche in Sofocle la tendenza eschilea ad una (pur tardiva) celebrazione della polis e l'intenzione di sancire il superamento del passato del genos ("clan") a fronte dell'(ormai compiuto) instaurarsi del primato della politica.
Come già in Eschilo, dunque, molti colgono nell'inevitabile uccisione di Clitemnestra lo sgretolarsi della vecchia società di palazzo nutrita dell'interesse del singolo casato e l'imporsi del dominio di un vantaggio comune, il venir meno dei privilegi da sempre accordati ai legami di lignaggio e il costruirsi di un'ampia rete di relazioni extragenetiche (8); come già in Eschilo, essi ritrovano nella morte della regina il desiderio di inscenare il declino di un mondo arcaico fatto di orribili crimini e di vendette interminabili, di tracciare il confine tra una brutalità inaccettabile e una violenza lecita, di cantare la nuova cultura della legalità e dell'ordine (9).

D'altro canto, i promotori della teoria "ironica" tendono a svincolare l'opera di Sofocle dalla sfera d'influenza dei clan e a cogliere la verità del dramma in una rigorosa storicizzazione.
Allineandola all'omonima tragedia euripidea, essi fanno anche di quest'Elettra l'oscuro riflesso degli ultimi anni del IV secolo, anni di profondi sconvolgimenti che vedono chiudersi l'esperienza democratica tra le violenze della guerra e che precipitano Atene in una fortissima crisi; dell'assassinio di Clitemnestra (ormai privato dei tratti di giustizia e di necessità) un puro atto di vendetta, un crimine inespiabile, un delitto inescusabile; del personaggio di Elettra l'emblema di un'attualità ormai completamente dominata dalla dissoluzione di qualunque forma di reciprocità (10).

Due opere molto diverse, dunque, l'Antigone e l'Elettra, dai destini divergenti nella loro storia post-sofoclea; perché allora accostarle nella lettura, e soprattutto perché proporne l'analisi nell'ambito di una riflessione dedicata alla memoria della violenza?



Le ragioni di un confronto: le tragedie delle sorelle

Analogamente intitolate alle rispettive eroine a testimonianza dell'originale dilatazione studiata dal poeta per i loro ruoli (11), le due tragedie presentano una serie di affinità evidenti a partire dalla loro struttura e dai personaggi che all'interno di essa prendono vita.

Imperniati sui vincoli della più stretta parentela di sangue, entrambi i testi danno particolare risalto ai legami specifici della sorellanza e della fratellanza: in entrambi, la vicenda si snoda intorno alla triade composta dalle due sorelle e dal fratello (Antigone con Ismene e Polinice da un lato, Elettra con Crisotemi e Oreste dall'altro); in entrambi, esplode insanabile il conflitto tra le sorelle che, pur essendo per nascita le donne più uguali, rivelano una distanza incolmabile (se alla ribelle Antigone si oppone la pacata Ismene, all'intransigente Elettra si oppone la contenuta Crisotemi); in entrambi, l'origine del conflitto rimanda alla figura cardine del fratello (morto e in attesa di sepoltura il primo, creduto morto e dunque impossibilitato a compiere la vendetta il secondo).

I dialoghi che vedono le due coppie di sorelle a confronto (Ant. vv. 1-99, 536-581; El. vv. 328-471, 871-1057) sembrano dominati dalle stesse dinamiche; pazzia e saggezza, temerarietà e prudenza si richiamano puntualmente, creando equilibri in apparenza molto simili (Ant. v. 557; El. vv. 365, 403, 920, 1054).
Da un lato le "folli" (Antigone ed Elettra), animate dal dovere di non tradire la propria natura (Ant. v. 38; El. vv. 401, 989), trascinate da propositi irragionevoli al punto da allontanare chi non osi agire con loro (Ant. v. 543; El. v. 357); dall'altro le "avvedute" (Ismene e Crisotemi) che si appellano alla fragilità della loro condizione di donne (Ant. vv. 61-62; El. vv. 997-998), che temono di sfidare chi è più forte e conserva il potere (Ant. vv. 63-64; El. vv. 340, 396, 1014), che confidano nel perdono da parte dei defunti (Ant. vv. 65-66; El. v. 400), che portano a pretesto della loro negata collaborazione l'essere per natura incapaci di reagire (Ant. vv. 78-79; El. vv. 330-331).

Sofocle,
disegno di P. P. Rubens
Sarebbe difficile immaginare che quando Sofocle mise mano all'Elettra non pensasse all'Antigone, quantomeno curioso ritenere che, nel momento in cui concepì lo scontro tra Elettra e Crisotemi, non stesse in qualche modo rielaborando quello tra Antigone e Ismene. Il gioco di corrispondenze tra i due drammi è innegabile ed è a questo che generalmente si richiamano quanti avanzano l'ipotesi di un raffronto, sviluppando il modello di una polarità tra sorelle "forti" e sorelle "deboli" (trattate alla stregua di personaggi minori espressamente creati per far risaltare le altre), e proponendo anche per Elettra e Crisotemi uno schema di fatto dedotto dalla relazione tra Antigone e Ismene (icasticamente contrapposte fin dai primi versi del prologo) (12).
Ciò che, invece, da questi raffronti generalmente non emerge è come siano proprio gli scambi di battute tra le sorelle con il loro persistente accavallarsi di riprese e rimandi a contraddire la consueta mappa delle simmetrie e a disegnare un diverso intreccio di legami che scardini le coppie consolidate dalla critica, mostrando l'estraneità delle quattro donne alla fissità di qualunque schematizzazione e mettendo in risalto la complessità di ciascuna; l'attento esame degli elementi che avvicinano i due testi (e della profonda contaminatio che agisce anche sul piano tematico), allora, consente altresì di riconoscere le disuguaglianze che li separano, garantendo della singolarità di ognuno e confermandone gli esiti originali.


Voci di donne: riti di sepoltura, memoria, identità

Figlie di Edipo e di Giocasta le une, di Agamennone e di Clitemnestra le altre, le quattro principesse scrivono l'ultimo atto della storia di due grandi stirpi, collocandosi nel solco di una lunga catena di orrori.
Nel passato diversamente pesante delle prime, l'indicibile che mina i fondamenti della civiltà (il regicidio-parricidio di Laio, l'incesto di Edipo e Giocasta, il fratricidio di Eteocle e Polinice); nel passato delle seconde, il sangue versato che continua ad esigere sangue da versare (l'infanticidio di Ifigenia e il regicidio-uxoricidio di Agamennone, che sarà poi all'origine del regicidio-matricidio di Clitemnestra); nel destino di tutte, la necessità di misurarsi con un carico di efferatezza che incombe ancora minaccioso e dal quale non si può prescindere, l'urgenza di confrontarsi con un'eredità tanto onerosa che continua a farsi presenza ingombrante e in relazione a cui tutto acquista significato.

Più che motivare la decisione di aver collocato i due drammi al centro di uno studio sulla memoria della violenza, pertanto, conviene iniziare identificando la molteplicità di livelli su cui agisce questo tema che s'impone innegabilmente in entrambe le tragedie per la sua pregnanza.

Affresco raffigurante un gruppo di donne piangenti
in testa ad un corteo funebre, Luxor, 1370 a.C.
In uno dei suoi saggi più noti, l'egittologo J. Assmann individua nelle pratiche di commemorazione dei defunti l'origine e il nucleo di quella che egli stesso definisce come "la cultura del ricordo" (13); mentre alla voce "morte, morti", il Dizionario della memoria e del ricordo di N. Pethes e J. Rüchatz recita "La m.[orte] è il paradigma di una perdita irrecuperabile e, quindi, il fattore alla base di ogni prassi della memoria […]. I m.[ort]i sono la quintessenza di ciò che deve essere ricordato" (14); attraverso la percezione di un vincolo con i defunti, dunque, il formarsi di un'idea di appartenenza e di continuità della stirpe, nel compimento dei riti funebri il crearsi di una tradizione e di una memoria condivise.
In ragione di una serie di motivazioni di ordine tanto biologico (legate al suo ruolo di primo piano nei processi di generazione della vita) quanto sociale (dalla vulnerabilità del suo status di dipendenza da un'autorità maschile alla sua funzione nel privato della casa), alla donna sono state sempre ascritte un'intima comprensione del dolore e una posizione privilegiata nella custodia della storia familiare, nonché una parte rilevante nell'esecuzione delle cerimonie di sepoltura (15).
Lungi dall'essere ispirate da una volontà personale o da un impeto puramente affettivo, è precisamente in quanto "donne" che Antigone ed Elettra si fanno carico l'una di apprestare una tomba al fratello e l'altra di intonare il cordoglio per il padre, allineandosi a quanto riconosciuto fin dall'antichità presso moltissimi popoli di competenza specifica delle donne, designate per inclinazione naturale e consuetudine culturale a gestire pubblicamente il lutto per conto della famiglia e dell'intera comunità, preposte a garantire un susseguirsi rigoroso di gesti e lamenti ovunque scrupolosamente codificati nell'intento di arginare l'esternazione del dolore e di ristabilire l'ordine minacciato dall'irrompere della morte (16).

Scena funebre a figure nere su terracotta,
Attica, VI sec. a.C.
D'altro canto, la facilità con la quale lo sfogo della sofferenza può mutarsi in una manifestazione di rabbia ha fatto sì che il canto funebre interpretato dalle donne assumesse un peso ancora maggiore nelle società tradizionalmente regolamentate dall'istituto della vendetta, rappresentando nello stesso tempo anche la ragione del suo progressivo declino; modulato dalla voce di chi (in genere esonerato dall'azione violenta) si faceva promemoria vivente della perdita subita e incentivava l'esplodere del rancore, esso sollecitava l'urgenza di individuare il colpevole di tale perdita e ispirava negli uomini la risolutezza necessaria a colpirlo, finendo per porre l'accento sul potenziale sovversivo legato alle emozioni inerenti la morte e sul pericolo della loro azione destabilizzante.
Ecco allora connotarsi fin da subito di tratti sinistri e rovinosi il naturale conformarsi di Antigone e di Elettra ai loro doveri di donne. Scatenando la prima una profonda crisi all'interno della città, struggendosi la seconda in un compianto sfrenato e senza limiti, queste "donne d'Ellade" riflettono il sentimento di diffidenza che è sempre sorto contro le espressioni non ufficiali del lutto e ha portato al controllo sistematico delle loro tendenze disgregatrici da parte delle autorità statali e religiose. Esponendosi al biasimo della città per la loro condotta eccessiva e intemperante, le giovani alludono alla politica di restrizione dei rituali funerari e delle lamentazioni, applicata in molte parti del mondo greco a partire dall'epoca soloniana (dal VII-VI secolo a.C., dunque, nel contesto di un diffuso processo di democratizzazione) e abitualmente associata alla volontà di indebolire il sistema aristocratico dei clan, che sull'egemonia del sangue e le sue rivendicazioni tutto si fondava; dirette a ridimensionare il grandioso impianto di celebrazioni amministrato dai gene nell'intento evidente di colpire l'intero complesso di valori che lo ispirava, tali politiche miravano a limitare con insistenza la partecipazione e il protagonismo delle donne che di quelle celebrazioni e perciò di quei valori si facevano le esecutrici privilegiate e le principali interpreti (17).

"Donne", dunque, "donne di Grecia", Antigone ed Elettra, colte nell'adempimento di una delle loro mansioni più rispettate e aborrite. Ma anche (e soprattutto) "donne tragiche" sulla scena del teatro di V secolo a.C., che nell'annuale riproporsi degli agoni drammatici costituiva per i cittadini di Atene un'occasione di indiscussa celebrazione della città, ma che mirava a riconfermare la giustezza delle conquiste democratiche solo dopo aver accompagnato gli spettatori attraverso un sapiente percorso di problematizzazione delle questioni di volta in volta più stringenti e attuali, e che spesso rimetteva all'azione di una fitta schiera di personaggi femminili abilmente plasmati il compito di mostrare la pericolosità di una realtà costruita su valori che si discostassero da quelli promossi dalla polis, e allo stesso tempo forse anche di suggerire ciò che i discorsi ufficiali della storiografia e dell'oratoria non osavano esprimere (18).
Non rimane, allora, che addentrarsi nella lettura delle tragedie per conoscere come Sofocle abbia scelto di caratterizzare l'identità delle quattro sorelle in stretta connessione con le modalità secondo cui ha voluto che ognuna ricordasse i propri morti e la violenza da essi evocata, se il drammaturgo si sia limitato ad accogliere e a rielaborare l'eco negativa della gestualità rituale femminile o se non l'abbia invece sfruttata per insinuare la possibilità di una logica differente, quale messaggio abbia pensato di rivolgere alla sua città che del disciplinamento della memoria del dolore e di un'ideologia tutta politica della morte aveva fatto i pilastri della sua propaganda.


Note:

(1) Cfr. D. A. Hester, Sophocle, the unphilosophical, "Mnemosyne", XXIV (1971), pp. 11-59.

(2) Tra i lavori più recenti, che inquadrano la dicotomia tra Antigone e Creonte nell'ambito della differenziazione sessuale, cfr.: R. P. Winnington-Ingram, Sophocles and women, in J. De Romilly (a cura di), Sept exposes, Vandoenires-Genève, Fondation Hardt, 1983, pp. 233-257; S. Wiersma, Women in Sophocles, "Mnemosyne", XXXVII (1984), pp. 25-55; S. Murnaghan, Antigone 904-920 and the institution of marriage, "American Journal of Philology", CVII (1986), pp. 192-207; M. Neuburg, How like a woman: Antigone's inconsistency, "Classical Quarterly", XL (1990), pp. 54-76; H. Gasti, La fonction du mode psychique dans l'Antigone de Sophocle, "Listy filologické", CXVI (1993), pp. 112-119.

(3) Cfr. V. Ehrenberg, Sophocles and Pericles, Oxford, Basil Blackwell, 1954.

(4) In linea con queste posizioni, si aggiunge alla ricchissima rassegna di Hester anche l'intervento di P. Vidal-Naquet, Edipo ad Atene, in J.-P. Vernant e P. Vidal-Naquet (a cura di), Mito e tragedia due, trad. it. Torino, Einaudi, 1991, [ed. or. Mythe et tragédie deux, Paris, Éditions La Découverte, 1986], pp. 135-160.

(5) È, di contro, una minoranza di voci quella che difende in Creonte l'uomo del dovere chiamato alla difesa dello stato contro gli intenti ribelli dei cospiratori. Si segnalano in particolare: A. T. Von S. Bradshaw, The watchman scenes in the Antigone, "Classical Quarterly", LV (1962), pp. 209-210; W. M. III Calder, Sophokles' political tragedy. Antigone, "Greek, Roman and Byzantine studies", IX (1968), pp. 389-407.

(6) Cfr. Sophocles. Electra, edited by John Henry Kells, Cambridge, Cambridge University Press, 1973, pp. 7-12.

(7) Una terza via (teoria "amorale") riconosce nell'omissione dei lati oscuri dell'atto di Oreste la volontà di trattare la materia alla maniera omerica, dunque senza alcuna problematizzazione del matricidio. Sul progressivo sviluppo delle vicende collegate alla saga degli Atridi e alla nascita di una "questione di matricidio", cfr. Sophocles. The plays and fragments. Part VI. The Electra, with critical notes, commentary and translation in english prose by sir R. C. Jebb, Cambridge, Cambridge University Press, 1894.

(8) Cfr. G. Perrotta, Sofocle, Messina, Principato, 1935; G. Bona, Note all'Elettra di Sofocle, in E. Corsini (a cura di), La polis e il suo teatro, Padova, Editoriale Programma, 1986, pp. 75-102; S. Goldhill, Reading greek tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 147-154.

(9) Nell'ottica di T. M. Woodard, Electra by Sophocles: the dialectical design (Part I), "Harvard Studies in Classical Philology", LXVIII (1964), pp. 165-167, il mito così rielaborato avrebbe contribuito alla costruzione di un linguaggio civico e alla sostituzione delle virtù epiche con un diverso codice di comportamento. In un clima di logorio dello spirito eroico, egli riconosce in Oreste il prototipo dell'ateniese di V secolo, che attende a "lavoro" (ergou v. 76) stringendo amicizie nell'agorà, che agisce al "momento opportuno" (kairos vv. 22, 39, 75; kairou v. 31) confidando in un "guadagno" (kerdei v. 61), che manifesta un'evidente discrepanza tra il proposito di eliminare gli assassini del padre e gli stratagemmi ideati per realizzarlo; attraverso continue allusioni alla vita del cittadino (dalle esercitazioni militari alle competizioni sportive), Oreste si farebbe modello di una personalità nuova, razionale, realistica, ambiziosa.

(10) Interessanti le analisi linguistiche di: C. Segal, The Electra of Sophocles, "Transactions and Proceeding of the American Philological Association", XCVII (1966), pp. 485-519; C. Segal, Tragedy and civilization. An interpretation of Sophocles, Harvard, Harvard University Press, 1981, pp. 253, 261, 271-278; M. Casevitz, Le vocabulaire de la colonisation en grec ancien. Etude lexicologique: les familles de kti/zw et de oi)ke/w-oi)ki/zw, Paris, Librairie C. Klincksieck, 1985, pp. 155-158. Cfr. anche B. X. De Wet, The Electra of Sophocles. A study in social values, "Acta Classica", XX (1977), pp. 23-36.

(11) Se le figlie di Edipo, pur secondarie rispetto ai figli e alle loro vicende, sono tuttavia ricordate già nel ciclo tebano, l'epica non conosce Elettra; la prima citazione del personaggio risalirebbe a Xanto (poeta del VII secolo a.C., citato da Stesicoro), secondo cui la donna avrebbe visto il proprio nome mutarsi da "Laodice" in "Elettra" per l'essere priva di nozze. Cfr. Sophocles. The plays and fragments cit., pp. xix-xx; Euripides. Electra, edited with introduction and commentary by J. D. Denniston, Oxford, Clarendon Press, 19644 (1939), p. x.

(12) In relazione alle indagini sulla questione femminile in Sofocle, ad esempio, molti studi sovrappongono costantemente le figure di Antigone e di Elettra; con fatica riconducibili ai comportamenti giudicati convenienti (e abituali) per una donna ateniese di V secolo, le eroine rivelerebbero problematici tratti di ribellione e virilità, scostandosi da un prototipo di donna docile e remissiva, incarnato da Ismene e Crisotemi. Cfr. R. P. Winnington-Ingram, Sophocles and women cit.; S. Wiersma, Women in Sophocles cit.

(13) Cfr. J. Assman, La memoria culturale, trad. it. Torino, Einaudi, 1997, [ed. or. Das kulturelle gedachtnis, Munchen, C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, 1992].

(14) Cfr. N. Pethes, J. Ruchatz, Dizionario della memoria e del ricordo, Milano, Mondadori, 2002, [ed. or. Gedachtnis und erinnerung, Reinbeck, Rowohlt Taschenbuch Verlag GmbH, 2001], pp. 364-366.

(15) Cfr. M. Alexiou, The ritual lament in Greek tradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1974, pp. 4-23; G. Holst-Warhaft, Dangerous voices. Women's laments and greek literature, London, Routledge, 1992.

(16) Cfr. M. Alexiou, The ritual lament cit.; E. De Martino, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Torino, Boringhieri, 1958; E. De Martino, Furore, simbolo, valore, Milano, Feltrinelli, 1980.

(17) Cfr M. Alexiou, The ritual lament cit.; N. Loraux, Le madri in lutto, trad. it. Bari, Laterza, 1991, [ed. or. Les mères en deuil, Paris, Editions de Seuil, 1990]; S. C. Humphreys, The family, women and death. Comparative studies, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1993, pp. 79-113; N. Loraux, La voce addolorata, trad. it. Torino, Einaudi, 2001, [ed. or. La voix endeuillée, Paris, Editions Gallinard, 1999].

(18) Cfr. A. Beltrametti, Immagini della donna, maschere del logos, in S. Settis (a cura di), I Greci II 2, Torino, Einaudi, 1997, pp. 897-935.

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